Opzioni


I pensieri nella rete rimbalzano come biglie in un flipper. Facebook, forum, blog, siti. Vai. Salti. Torni. Ricordi dal passato. Suggestioni del futuro.  Si innescano spirali di pensieri. S’interrompono. Riprendono. Ogni tanto una scarica più forte delle altre. Un feedback inaspettato accende una luce. Noti una porta sul corridoio dove passi tutti i giorni. La apri. Riconosci cose, persone. Non se ne sono mai andati. Sono rimasti lì tutti questi anni in cui li ho dimenticati.  Racconto quello che vedo, così come mi viene. Le parti del libro citato non me le ricordavo a memoria ovviamente, ma le ho ritrovate.

– Che botta! La sto sentendo. – dice Gabriella, fissando il posacenere che è massiccio, di marmo verde venato bianco e ha tutta l’aria di essere molto pesante. E rende bene l’idea della pesantezza dell’effetto di quel pezzetto di morbido afghano nero, mischiato ad erba che ci hanno detto essere boliviana, che abbiamo appena finito di fumare, senza tabacco, ben stipato in una cartina Rizla di quelle lunghe. Sento l’impulso di sollevarlo, il portacenere,  ma il cervello è come se fosse neutrale: si limita a registrare la presenza  dell’impulso ma da qualche parte di esso non parte l’ordine al braccio  di muoversi, alla mano di aprirsi, alle dita di stringere e così via,  tutta la sequenza di movimenti necessari a rendermi conto di quanto effettivamente pesi il posacenere. Così resto lì a guardarlo. Cercando di immaginare la sensazione sulle dita della mano, la freddezza del marmo, la sensazione tattile della levigata parte superiore sul pollice e quella ruvida della grezza della parte esterna su indice, anulare e medio.

– Abbassa lo  stereo – chiede Giuseppe a Zio. Mi dimentico del portacenere sposto lo sguardo su Zio, che è seduto su una poltrona a fiori vicino al giradischi. Zio sospira come se il pensiero stesso gli costasse immensa fatica. Si spinge avanti sorreggendosi sui braccioli di legno scuro lucido. Si allunga verso la manopola lucida dello stereo e la ruota verso sinistra.

– Hai tolto la cassa sinistra – dice Giuseppe

E’ seduto con le mani stese sul tavolo, le dita si toccano, fa dei respiri profondi. Siamo a casa sua. Io lo conosco poco. Ho diciannove anni e lui è più grande. Quanto più grande non lo so. Ha già dei capelli bianchi. Sono venuto con Gabriella e conosco solo Zio. Zio è il diminutivo di Orazio. Lui preferisce essere chiamato Zio piuttosto che Orazio, come il cavallo dei fumetti di Topolino. In realtà in qualcosa nella sua andatura dinoccolata fa pensare che il nome gli si addica. La gente prima o poi glielo dice e a lui la cosa ha stufato. Per questo preferisce Zio.

Ora Zio capisce che se vuole ruotare l’altra manopola deve sollevarsi dalla poltrona e la cosa non gli piace. Fa girare nella stanza uno sguardo da cane bastonato. Me lo immagino con quella specie di basto che porta al collo Orazio, il cavallo del fumetto. E penso che è proprio lui. Vorrei dirglielo ma è difficile fermare il pensiero nelle parole. Le parole sono lente, i pensieri corrono.

Orazio cerca comprensione oppure qualcuno che ruoti la manopola al posto suo.
– Non ci arrivo – dice.
– Dovevamo prendere da bere. Prima. – dice Gabriella.
– Ho voglia di quel succo di frutta – dice Zio.
– Puoi abbassare, per favore? – dice Giuseppe.
– Non mi va di alzarmi – risponde Zio.
– Si ma ora hai lasciato solo la cassa destra, almeno rimettilo come prima – dico io.
– Aho che palle non mi va… mi state mandando in paranoia… basta… – dice Orazio. E si allunga nella poltrona, facendo scivolare il bacino avanti, incassando la testa fra le spalle.

Segue un momento di silenzio, in cui ognuno riflette sulle implicazioni di questo dialogo. Giuseppe si alza e va a regolare lo stereo. Rimette il disco da capo. Crystal Lake di Klause Shulze

– Puoi prendere il succo di frutta anche? – dice Gabriella.
– Vado io – dice Paola da un punto dietro di me – mi devo muovere un po’’ … –

– Comunque devo dirti, Orazio, che il tuo comportamento è fortemente individualista – dice Giuseppe. Orazio si stringe nelle spalle e non dice niente.

Torna Paola con il succo di frutta e della cioccolata. La mette sul tavolo. La musica sta salendo di tono. Io sono concentrato sulle note. Conto le ripetizioni, attendo le variazioni. La musica è fatta di colori. Quella che apre,  il ritmo principale, è rosso. Rosso scuro, come sangue coagulato, come sciroppo di amarena, come una macchia di vino rosso su una tovaglia bianca. La nota continua di fondo è blu scuro, o un violetto, una mutazione del rosso. Poi la grande variazione è gialla splendente, abbagliante. Mi fa vibrare la nuca. E ogni volta che ritorna il giallo si accende e poi si cambia in verde. La testa mi ondeggia. E’ percorsa da un’onda che segue il colore rosso.

Dico a voce alta:  la musica ha dei colori su fondo nero.
gabriella alza gli occhi e dice è vero, è verissimo. Gli altri sono per conto loro. Io e Gabriella ci guardiamo in faccia, ma non è un guardarsi negli occhi, è come se stessimo ballando, non mi viene in mente niente altro, anzi no, anche quando fai l’amore ti guardi in quel modo,  con le espressioni del viso, muoviamo la testa piano, impercettibilmente, seguendo le variazioni.

Sono un po’ innamorato di Gabriella. E’ bionda, un po’ più grande di me. Non la capisco. E io sono affascinato da quello che non capisco. Se sono qui è perché sto cercando di entrare nel suo mondo. Preludio all’entrare in lei che è quello che vorrei fortemente in questo momento. Ma diffido dei suoi amici, di questo Giuseppe che non riesco a capire che cosa sia per lei.  Che è un professore in qualche liceo, che fa meditazione ed elabora teorie affascinanti con le quali sospetto si scopi le sue allieve. Paola non so chi sia. Ha una gonna ampia lunga. I capelli ricci e la borsa di tolfa. Come tutte.  Sembra abbia padronanza della casa.

Zio lo conosco da un po’. Quando intuisce la possibilità di sballarsi cerca sempre di essere della partita. Non ha mai un soldo, nemmeno per le sigarette, nemmeno per un cappuccino. Zio ha la barba e i capelli lunghi. Vorrebbe avere quell’aria ieratica un po’ da cristo. Ma ha il naso a patata e una voce lamentosa e un modo di fare da vittima predestinata. E’ il tipo che se trova una donna sparisce dalla circolazione.

Gabriella, seduta davanti a me ha abbassato la testa. Giuseppe le prende la mano e gliela accarezza. Gabriella sembra essergliene grata. Abbandona la mano alle sue carezze e chiude gli occhi. Io mi alzo e vado alla libreria. Ci sono centinaia di libri disposti in ordine apparentemente casuale. Per leggerne i titoli sono costretto a piegare la testa ora da un lato ora dall’altro.
Baudelaire è vicino a un libro su Degas e poi Gogol. Che c’entra? Ma la Coscienza di  Zeno e l’Ulysses stanno bene vicini, in fondo. Joyce-Svevo, Trieste.

Forse un qualche ordine c’è stato, all’origine. Percepisco la presenza di qualcuno accanto. E’ Rossella e questo scaccia la sensazione negativa che qualcosa di spiacevole stesse avvenendo alle mie spalle.
Sta prendendo un libro.
– Questo è bellissimo – dice, rivolta a tutti però. Non solo a me.
– Lo sai che disco ci vuole con questo libro? The Flying Teapot. Lo so che ce l’hai… –
Che libro è, dico io.
– E’ Sheckley! Lo hai letto? –
E’ un libro di Urania. Io leggo Urania. Ma non mi aspettavo tale entusiasmo in questo ambiente per un libro di fantascienza.
– Si qualcosa mi pare di avere letto… – rispondo. Il nome non mi è nuovo: Robert Sheckley.
– Dai Giuseppe, metti i Gong … – strilla Gabriella.

Giuseppe si alza e va allo scaffale in cui tiene i dischi. Ne prende uno. Toglie Mirage di Klaus Schulze e lo ripone con cura. Poi estrae il vinile e lo sistema sul  piatto. Posiziona la puntina a inizio solchi.

– No aspetta, fammi trovare la pagina – dice Gabriella. Giuseppe solleva la puntina e la tiene mentre il disco gira.
All’età di dodici anni Mishkin amava così tanto dio che ruppe la promessa di  matrimonio fatta a se stesso. –  legge Gabriella e Giuseppe abbassa la testina. Zio si alza e prende un pezzo di cioccolata.

Mi allungo e ne prendo anche io. Poi ci ripenso e mi verso anche del succo di frutta, ma ne è rimasto poco. Ho la gola secca. Il poco succo di pesca me la lascia acida.

Il vostro problema, disse l’analista, è  l’incapacità di amare voi stesso. Ma io mi amo, mi amo, Esclamò Mishkin.
 Davvero. Vi aspettate che vi creda ribattè l’analista? Vi ho visto guardare Sartre, Camus, Montaigne, Platone, Thoreau, tanto per nominare qualcuno degli oggetti del vostro amore.

Gabriella interrompe la lettura e si gira verso Giuseppe.  – qui ce l’ha con te – dice.

E ancora percepisco questa famigliarità fra loro che mi ingelosisce. Mi rende insofferente. Gabriella, così spregiudicata, così libera, ha una  sorta di adorazione per questo Giuseppe.

Quando la smetterete  con queste relazioni assurde, spossanti, non remunerative?

Gabriella recita enfatizzando questa frase guardando Giuseppe. Che apre le braccia, dando l’aria di essere stato colpito al cuore dall’accusa. Ostentano familiarità, incuranti degli altri. Ma forse gli “altri” sono solo io. Orazio è assorto nei pensieri del fumo, ha gli occhi chiusi e segue la musica. Paola scorre la libreria, inclinando la testa da un lato o dall’altro per leggere i titoli.

Io mi amo, pianse ancora Mishkin, mi voglio bene davvero. Continuate a  fumare annotò l’analista.  Sempre letargico, passivo, incontrollato.  Secondo voi questo è il modo di trattare qualcuno che si dice di amare?

Allora questa è per Orazio, dico io.
– Parli tu… hai gli occhi rossi come un drago… – ghigna Orazio.

La musica dei Gong diventa dissonante. O forse sono io.

– Lo conosci allora, questo libro? – mi dice Gabriella.
– No, non mi pare. Come si intitola? –

– Opzioni. E’ fantastico. Questa è una collana di fantascienza – come se non la conoscessi  penso io – ma questo libro è solo per caso di fantascienza… in realtà è molto, molto di più… ma anche altri libri di Sheckley sono  così. Lo adoro. –

Sfoglia velocemente le pagine. Trova un segno. Continua a leggere:

Tecniche speciali tornate di moda. Ipnotizzatevi tornando voi stessi.  Risvegliate il vostro centro recettivo. Ignorate i segnali del vecchio  censore. Concedetevi suggestioni. Concedetevi autosuggestioni.  Concedetevi autosuggestioni automatiche. La nuova tecnica di annullare  l’inconscio vi permette autosuggestioni subconscie senza che nemmeno lo  sappiate.  Andate in estasi superando le sensazioni artificiali delle droghe con esperienze riservate ad una coscienza superiore. Gustate  piaceri sessuali nel sonno senza nemmeno bisogno di un partner…

– Ah io lo faccio sempre se è per questo… – interrompe Orazio. Ride.
– ma dai, ascolta… – dice Paola, che alla libreria adesso si è appoggiata. Si è messa comoda per ascoltare gabirella che legge.  Giuseppe approva. Distribuisce approvazione e disapprovazione con le espressioni del viso.

Io e Zio siamo fuori della sua corte. Zio se ne frega, basta che ci sia da sballarsi va bene ovunque. Io penso che mi sembra qualcosa di religioso. Come una setta. Un catechismo. Sta leggendo questo libro come una rivelazione. Da una gabbia all’altra. Da quella borghese a questa … mistica-psichedelica. Scappi da un recinto e ti vai a chiudere in un altro.

Giuseppe mi è antipatico. Sospetto una relazione fra lui e Gabriella, ma non è solo questo. E’ che è un poveraccio, uno a cui piace vincere facile, si direbbe oggi. Fa il guru con le adolescenti. Si da arie da intellettuale, ma è solo un professore di italiano. Magari supplente. Con un po’ di fumo e qualche discorso sulla libertà fa colpo sulle ragazzine e gli basta questo per sentirsi pieno di sé. Mi viene voglia di prenderlo a botte.

Sfruttare il potere della mente. Lettura è intuizione Lettura è intuizione Lettura è intuizione
– Ma che significa? – dico.
Se smettete di pensare in termini logici di esistenza-non esistenza,  lungo e corto, soggetto e oggetto, attivo passivo, … scoprirete che la  vostra mente è intrinsecamente il Buddha, che il Buddha è intrinsecamente Mente, e che Mente è intrinsecamente un Vuoto  – dice Giuseppe.

E gabriella ripete insieme a lui l’ultima frase, mente è intrinsecamente un Vuoto.
Gabriella mi passa il libro: – leggilo!… è importante… -.  Una missionaria. Una catechista. L’apostola di Giuseppe, il profeta delle terze liceo.

La musica dei Gong sta finendo. Prendo il libro e lo sfoglio. Mi girano in testa concetti ascoltati qui e là sulla libertà sessuale, la meditazione, la liberazione della mente. Gisueppe si scopa Gabriella sono sicuro e a Gabriella forse piaccio, e potrebbe esserci qualcosa fra me e lei, ma solo se io diventassi come loro, altrimenti  no. Lo capisco dal tono con cui mi ha detto: leggilo è importante. E forse nella sua testa su due binari separati c’è la convenienza di avere una storia con uno che le piace ma anche di portare un nuovo adepto nel loro circolo e per questo assumere importanza agli occhi del capo, di questo Giuseppe che approverebbe l’attrazione della sua allieva. E poi se porta me nel gruppo automaticamente il suo ruolo aumenterà di importanza.

Già non ne posso più di questi meccanismi. Mi vanno stretti.

Tutto mi va stretto in questi diciannove anni. E sono deluso da Gabriella, dalla sua dipendenza da questo Giuseppe. Sballarsi va bene, ma farlo diventare una strada, una via per trovare se stessi, in coda dietro frasi vuote come sacchi in cui ognuno può mettere quello che gli pare… è una stratosferica presa per il culo. So già che non trovi proprio nulla andando su queste strade. Lo so per certo. Ho già visto amici sparire seguendo con la lingua cartine di acidi dagli splendidi colori. E ora li sto vedendo sparire dietro le bustine di polvere bianca. Dicono che la controllano. Che è bella ma che sanno gestirla. Non è vero.  Non è vero niente. Sono solo illusioni, come quelle di Gabriella che cerca risposte in un libro di fantascienza. Ma anche se fosse la Bibbia.

Me ne vado da quella casa con il libro in mano. Lo leggerò. Ma ho già capito che la mia lettura non sarà mai quella di Gabriella. E che per avere Gabriella basterebbe fingere, sarebbe facile. Ma non mi va di fingere. Forse perché Gabriella mi piace meno di quanto mi piaceva poche ore prima.

Ognuno vivrà la sua strada, la sua realtà. Vite che si sono incrociate oggi, in questo appartamento di San Lorenzo, e che saranno centrifugate lontanissime.

Perché la realtà è un luogo dai confini  molto più indefiniti di quanto non possa sembrare a prima vista. E’ come una bolla trasparente che se la spingi e la tiri puoi dilatarla come credi. E pensare seriamente che sia quella la tua realtà. Ma poi, basta poco, un po’ di dubbio e la bolla collassa, i confini dilatati si restringono, e dalle fughe si torna indietro, velocemente, troppo velocemente, e a volte ti spiaccichi violentemente. La realtà è unos forzo di coscienza. La realtà va sostenuta sbattendo le ali. Se smetti precipiti.

E io oggi non so, se era la realtà di quegli anni, questa. Oppure la realtà dei miei ventanni e/o se i ventanni siano tutti uguali, pieni di fughe e di illusioni.

Forse si costruisce collettivamente il luogo in cui fuggire nei nostri ventanni. Ma quando si torna però si torna da soli.

Ma ognuno i suoi luoghi deve visitarli. La sua realtà stirarla e allungarla, e le ali sbatterle con forza per sollevarsi in volo e distendere i confini di quella bolla. Forse solo allora si riesce a superare le sbarre delle gabbie concentriche in cui siamo chiusi. Devi andare lontano, e prima o poi tornare. Ma nel viaggio ci si può far male. Però se torni sarai più forte. Se torni.

Molti, allora, chi in un modo, chi nell’altro, non tornarono. Alcuni non sono mai partiti.
In fondo, sempre di Opzioni, si tratta.